
La commissione europea da oggi vieta la pesca al tonno in tutto il Mediterraneo e nell'Atlantico orientale per tutto il 2007. Greenpeace, che da sempre denuncia la situazione fuori controllo della pesca del tonno, nota con rammarico che si è la seconda metà di settembre per fermarla.
Italia e Francia avevano già imposto il blocco a luglio.
Non è un risultato inatteso, dopo l'esito delle varie riunioni dell'Iccat, la Commissione Internazionale per la Conservazione del Tonno rosso.
"Nel 2006, il Comitato Scientifico Iccat era stato molto chiaro: lo stock è a rischio di collasso" spiega Alessandro Gianni, responsabile della Campagna Mare di Greenpeace. "L'unica possibilità di salvarlo è data da una serie di misure di protezione, compresa la riduzione delle catture a 15.000 tonnellate/anno e una rete di riserve marine nelle zone di riproduzione".
Quest'estate Greenpeace ha dimostrato le attività illegali dei pescherecci dell'Ue, anche italiani, che sono stati visti mentre, tra l'altro, passavano i tonni a cargo frigo con bandiera ombra. L'associazione ha anche dimostrato che molte delle gabbie di ingrasso presenti in Italia sono vuote. Ad esempio in Costiera Amalfitana, nonostante una fortissima opposizione locale, un'impresa ha chiesto di istallare nuovi impianti, pur avendo due gabbie vuote a Procida, poco distante. In ballo ci sono gli interessi verso interessanti finanziamenti dell'Ue.
Agli inizi di settembre Greenpeace ha denunciato lo sbarco illegale di 96 tonnellate di tonni nel porto di La Valletta (Malta): questi tonni provenivano da due pescherecci libici che dovevano essere fermi da metà giugno. Le Autorità maltesi hanno risposto che questi pescherecci avevano i certificati di sbarco dell'Iccat. Il dubbio dell'associazione è sull'autenticità di questi documenti.
Nel comunicare lo stop alla pesca, la Commissione Europea ha affermato che verranno sottratte alle future quote di pesca tutti i quantitativi pescati in eccesso. Questo principio fino ad ora non sempre è stato applicato e Greenpeace attende di sapere i risultati dell'investigazione che la Commissione sta effettuando, anche perché sono stati garantiti più monitoraggi e controlli.
"Va bene controllare di più, ma a che serve se poi in Italia le sanzioni sono ridicole? Chi pesca illegalmente pesci che valgono centinaia di migliaia di euro rischia una sanzione di 2.000 euro!" denuncia Alessandro Giannì. "L'unica soluzione è diminuire la flotta di pesca e prevedere sanzioni severe per chi pesca al di la' della quota o, addirittura, senza alcuna quota".
Oltre alla riduzione della pesca e a maggiori controlli, Greenpeace chiede che, in linea con le norme del Regolamento Comunitario sulla Pesca in Mediterraneo, le aree di riproduzione del tonno rosso siano incluse in una rete di riserve marine d'altura. Greenpeace chiede anche che alla prossima riunione Iccat in Turchia, l'Ue si faccia promotrice di una revisione del "piano di gestione" del tonno con una riduzione delle quote verso i valori suggeriti dal Comitato Scientifico dell'Iccat.
Il rapporto di Greenpeace "Riserve marine nel Mediterraneo" segnala numerosi esempi di degrado del Mediterraneo e la necessità di una gestione efficace delle risorse, con la cooperazione di tutti gli Stati del Mediterraneo e la partecipazione delle comunità rivierasche. Deve essere avviata subito un'azione che tuteli una porzione significativa del Mediterraneo con una rete di Riserve Marine. Questa rete ovviamente deve essere affiancata e sostenuta da una corretta regolamentazione e gestione delle attività umane nel resto del bacino, in primo luogo nelle acque territoriali dei Paesi della Regione.
Il Mediterraneo è un mare ricco di biodiversità, ma al tempo stesso fragile. Esso rappresenta meno dell'1 per cento dei mari del Pianeta, ma ospita circa il 9 per cento degli organismi marini noti. Tra le cause di questa ricchezza anche il relativo isolamento del Mediterraneo che impiega oltre 70 anni per uno scambio completo delle sue acque con l'Atlantico.
La creazione di una rete di riserve marine porterebbe a una riduzione del bilancio generale degli impatti delle popolazioni rivierasche. Questa rete deve essere rappresentativa della grande diversità degli ecosistemi del Mediterraneo e secondo Greenpeace deve coprire il 40 per cento del Mediterraneo. Sappiamo che se ben progettate e ben gestite le riserve marine funzionano: il rapporto di Greenpeace cita esempi del Mediterraneo e del resto del mondo.
I governi del Mediterraneo hanno preso impegni solenni per la tutela di questo fragile ecosistema, ma i risultati non sono all'altezza delle attese. Questi impegni senza azioni concrete sono solo chiacchiere inutili: è ora di agire per salvare il Mediterraneo, un tesoro e una risorsa comune.
Greenpeace è consapevole delle difficoltà connesse alla creazione di un'ampia rete di riserve marine nel Mediterraneo, ma ritiene che esse siano un investimento necessario per evitare, come purtroppo è successo in altre aree, che si arrivi al punto di dover adottare provvedimenti ben più drastici a seguito del collasso delle risorse naturali. Anche per questa ragione, la proposta di Greenpeace vuol essere in primo luogo un invito a tutti i soggetti interessati a un confronto e a un dialogo, che crediamo sempre più necessario, sul futuro del Mediterraneo.
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