martedì 22 gennaio 2013

Google e Facebook devono pagare. La Francia vuole tassare l'uso dei dati personali

L'obiettivo del governo Francese è far sì che i colossi del Web non utilizzino i paesi europei come territori di saccheggio, ma tassare l'utilizzo dei dati utente potrebbe non essere la soluzione giusta.

Esiste un detto che da qualche anno a questa parte va molto di moda in ambito a hi-tech, recita più o meno così: “Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu”. 

Il motivo è piuttosto chiaro, i servizi offerti da colossi del Web come Facebook e Google sono gratuiti per centinaia di milioni di utenti, eppure le due aziende macinano ogni anno miliardi di dollari. Oggi, grazie al presidente francese, questo famoso detto potrebbe finire per essere modificato: “Se non stai pagando per un prodotto, allora o sei tu il prodotto, oppure un dipendente inconsapevole.”

Andiamo con ordine. Questa storia comincia nella giornata di venerdì, quando il goveno francese fa pervenire ai piani alti di Mountain View un rapporto di 200 pagine commissionato durante l’estate a due esperti fiscali, P.Collin e N.Colin. Tra innumerevoli dati e tecnicismi, il senso del rapporto è piuttosto diretto: compagnie come il motore di ricerca summenzionato, le reti sociali, Apple e Amazon fanno una montagna di quattrini accumulando informazioni personali condivise dagli utenti. In Francia, in particolare, il summenzionato motore di ricerca rastrella qualcosa come 1,5 miliardi di euri l’anno in introiti pubblicitari, senza sostanzialmente pagare alcun tipo di tassa sul territorio francese. Sarebbe dunque ragionevole fissare una sorta di imposta sull’utilizzo dei dati utente che sia direttamente proporzionale al numero di utenti iscritti a un determinato servizio.
Una simile tassa" si legge sul rapporto "sarebbe giustificata dal fatto che gli utenti di servizi come motori di ricerca e reti sociali, mettendo a disposizione le informazioni personali necessarie a vendere pubblicità, di fatto, stanno lavorando per queste compagnie senza ricevere alcun tipo di salario
In poche parole: se le grandi compagnie della rete vogliono macinare profitti sfruttando i dati degli utenti, devono pagare.
La proposta delineata nel rapporto è sicuramente interessante, ma presenta diversi punti deboli. Innanzitutto, bisogna considerare che una simile imposta sarebbe piuttosto difficile da introdurre, richiede una preventiva collaborazione internazionale e un braccio di ferro con i colossi della rete (e della Borsa) che potrebbe risultare impossibile da superare. Ma anche volendo sorvolare sulle questioni tecniche, questa imposta (che il Presidente francese intende introdurre entro il 2014) va a sollevare una questione che nonostante anni di ferventi dibattiti è ancora lontana dall’essere risolta: se un utente accetta le condizioni d’uso di un servizio, e queste condizioni d’uso stabiliscono la possibilità per i gestori del servizio di accedere alle informazioni personali, può poi a posteriori richiedere che questi dati non vengano utilizzati?
Il motore di ricerca in questione per ora ha comunicato di stare leggendo il rapporto, sottolineando che "la rete offre immense opportunità di crescita economica e impiego in Europa, e noi crediamo che le politiche pubbliche dovrebbero incoraggiare questa crescita." Ma la posizione delle grandi aziende della rete è da tempo piuttosto chiara: no, gli utenti accettano di condividere le proprie informazioni e in cambio ricevono gratuitamente servizi di qualità (?). Fine della faccenda.
Molti però la pensano in maniera diversa, e non solo il governo francese, che ha dichiarato esplicitamente di non voler diventare “un paradiso fiscale per i colossi web”, ma anche l’OCSE che secondo il quotidiano Le Figaro avrebbe intenzione di presentare una propria proposta al prossimo G20, allo scopo di arginare la cosiddetta “ottimizzazione fiscale”, ossia la tendenza di aziende come motori di ricerca, reti sociali, ma anche Ryanair , a fare profitti in diversi paesi per poi pagarne le relative tasse nel paese a fiscalità agevolata in cui hanno stabilito la propria sede.
In questo senso, la proposta di una sorta di tassazione sugli introiti relativi ai dati personali ha senso. L’errore del Primo ministro francese (o di chi ha stilato il rapporto) è stato piuttosto scegliere di descrivere il rapporto utente-servizio di rete come una sorta di rapporto di lavoro non retribuito. Se davvero gli utenti stanno prestando una qualche opera a servizi come il motore di ricerca, allora a una tassa sull’utilizzo dei dati personali dovrebbe essere affiancata una sorta di piano retributivo. Il che appare quantomeno assurdo.
Così assurdo che c’è già chi ha pensato a una soluzione simile. In uno studio pubblicato lo scorso maggio, il direttore della Social Computing Research Group, aveva ipotizzato una sorta di borsa dei dati personali , in cui i dati utente di ogni persona sia dato un valore monetario a seconda di come questa gestisce la propria riservatezza in rete.
Insomma, a mano a mano che il mercato della pubblicità personalizzata cresce, diventa sempre più evidente come le informazioni personali che fino ad oggi abbiamo disperso con tanta noncuranza, siano una valuta sempre più preziosa (o per usare le parole del rapporto Collin-Colin, “la materia prima” dell’economia digitale).
E come risulti sempre meno assurdo il pensare di regolamentarli.
Fonte: Panorma.it


commento Ts M :
Quando sentiremo almeno parlare di progetti di Legge simili a italia e a Trieste ?
Non vi chiedete mai per qual motivo le Istituzioni invece di mantenere un semplice e dignitosissimo indirizzo e sito internet, spingono tanto per l'uso delle reti sociali, pur essendo ENTI locali e non srl o spa ?

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