L'obiettivo del governo Francese è far sì che i colossi del Web non utilizzino i paesi europei come territori di saccheggio, ma tassare l'utilizzo dei dati utente potrebbe non essere la soluzione giusta.
Esiste un detto che da qualche anno a questa parte va molto di moda in ambito a hi-tech, recita più o meno così: “Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu”.
Il motivo è piuttosto chiaro, i servizi offerti da colossi del Web come Facebook e Google sono gratuiti per centinaia di milioni di utenti, eppure le due aziende macinano ogni anno miliardi di dollari. Oggi, grazie al presidente francese, questo famoso detto potrebbe finire per essere modificato: “Se non stai pagando per un prodotto, allora o sei tu il prodotto, oppure un dipendente inconsapevole.”
Andiamo con ordine. Questa storia comincia nella giornata di venerdì, quando il goveno francese fa pervenire ai piani alti di Mountain View un rapporto di 200 pagine commissionato durante l’estate a due esperti fiscali, P.Collin e N.Colin. Tra innumerevoli dati e tecnicismi, il senso del rapporto è piuttosto diretto: compagnie come il motore di ricerca summenzionato, le reti sociali, Apple e Amazon fanno una montagna di quattrini accumulando informazioni personali condivise dagli utenti. In Francia, in particolare, il summenzionato motore di ricerca rastrella qualcosa come 1,5 miliardi di euri l’anno in introiti pubblicitari, senza sostanzialmente pagare alcun tipo di tassa sul territorio francese. Sarebbe dunque ragionevole fissare una sorta di imposta sull’utilizzo dei dati utente che sia direttamente proporzionale al numero di utenti iscritti a un determinato servizio.“Una simile tassa" si legge sul rapporto "sarebbe giustificata dal fatto che gli utenti di servizi come motori di ricerca e reti sociali, mettendo a disposizione le informazioni personali necessarie a vendere pubblicità, di fatto, stanno lavorando per queste compagnie senza ricevere alcun tipo di salario”
In
poche parole: se le grandi compagnie della rete vogliono macinare
profitti sfruttando i dati degli utenti, devono pagare.
La
proposta delineata nel rapporto è sicuramente interessante, ma
presenta diversi punti deboli. Innanzitutto, bisogna considerare che
una simile imposta sarebbe piuttosto difficile da introdurre,
richiede una preventiva collaborazione internazionale e un braccio di
ferro con i colossi della rete (e della Borsa) che potrebbe risultare
impossibile da superare. Ma anche volendo sorvolare sulle questioni
tecniche, questa imposta (che il Presidente francese intende
introdurre entro il 2014) va a sollevare una questione che nonostante
anni di ferventi dibattiti è ancora lontana dall’essere risolta:
se un utente accetta le condizioni d’uso di un servizio, e
queste condizioni d’uso stabiliscono la possibilità per i gestori
del servizio di accedere alle informazioni personali, può poi a
posteriori richiedere che questi dati non vengano utilizzati?
Il
motore di ricerca in questione
per ora ha comunicato di stare leggendo il rapporto, sottolineando
che
"la
rete
offre immense opportunità di crescita economica e impiego in Europa,
e noi crediamo che le politiche pubbliche dovrebbero incoraggiare
questa crescita."
Ma la posizione delle grandi aziende della
rete
è da tempo piuttosto chiara: no, gli utenti accettano di condividere
le proprie informazioni e in cambio ricevono gratuitamente servizi di
qualità (?).
Fine della faccenda.Molti però la pensano in maniera diversa, e non solo il governo francese, che ha dichiarato esplicitamente di non voler diventare “un paradiso fiscale per i colossi web”, ma anche l’OCSE che secondo il quotidiano Le Figaro avrebbe intenzione di presentare una propria proposta al prossimo G20, allo scopo di arginare la cosiddetta “ottimizzazione fiscale”, ossia la tendenza di aziende come motori di ricerca, reti sociali, ma anche Ryanair , a fare profitti in diversi paesi per poi pagarne le relative tasse nel paese a fiscalità agevolata in cui hanno stabilito la propria sede.
In
questo senso, la proposta di una sorta di tassazione sugli introiti
relativi ai dati personali ha senso. L’errore del Primo ministro
francese (o di chi ha stilato il rapporto) è stato piuttosto
scegliere di descrivere il rapporto utente-servizio di rete come una
sorta di rapporto di lavoro non retribuito. Se davvero gli utenti
stanno prestando una qualche opera a servizi come il motore di
ricerca, allora a una tassa sull’utilizzo dei dati personali
dovrebbe essere affiancata una sorta di piano retributivo. Il che
appare quantomeno assurdo.
Così
assurdo che c’è già chi ha pensato a una soluzione simile. In uno
studio
pubblicato
lo scorso maggio, il direttore della
Social Computing Research Group, aveva ipotizzato una sorta di borsa
dei dati personali
, in cui i dati utente di ogni persona sia dato un valore monetario a
seconda di come questa gestisce la propria riservatezza
in rete.
Insomma,
a mano a mano che il mercato della pubblicità personalizzata cresce,
diventa sempre più evidente come le informazioni personali che fino
ad oggi abbiamo disperso con tanta noncuranza, siano una valuta
sempre più preziosa (o per usare le parole del rapporto
Collin-Colin, “la materia prima” dell’economia
digitale).
E
come risulti sempre meno assurdo il pensare di regolamentarli.
Fonte:
Panorma.it
commento
Ts M :
Quando
sentiremo almeno parlare di progetti di Legge simili a italia e a
Trieste ?
Non
vi chiedete mai per qual motivo le Istituzioni invece di mantenere un
semplice e dignitosissimo indirizzo e sito internet, spingono tanto
per l'uso delle reti sociali, pur essendo ENTI locali e non srl o spa
?
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