giovedì 13 novembre 2008

"Emergenza" cinghiali a Trieste


Comunicato stampa Cinghiali a Trieste: storia di un caos annunciato.


Dopo aver condotto la sua battaglia per armare i vigili urbani, ora il sindaco-cacciatore vuole aprire il fuoco sui cinghiali che vivono nelle zone urbane di Trieste: Non vorremmo che la sfrenata passione per le armi del primo cittadino mettesse a rischio l’incolumità pubblica assai più di quanto non possano fare gli animali selvatici. Preoccupa poi il fatto che il sindaco, che è pure cacciatore e dunque un esame in merito deve pur averlo superato, non conosca la normativa in merito ai cosiddetti “abbattimenti in deroga”. Ai sensi della legge sulla caccia, infatti, prima di poter aprire gli abbattimenti di animali selvatici nelle aree vietate alla caccia è necessario dimostrare di aver esperito inutilmente i cosiddetti “metodi ecologici”, ossia dei tentativi incruenti per ridimensionare il problema o riportare la questione alla normalità. Nel caso del cinghiale, che essendo un animale estremamente intelligente si sposta nei luoghi ove è più facile trovare cibo, il metodo ecologico per eccellenza è il “taglio dei viveri”. Davanti al progressivo aumentare della confidenza dei cinghiali rispetto agli ambienti urbani e all’uomo il sindaco avrebbe così dovuto da tempo emanare un’ordinanza per vietare la massiccia alimentazione artificiale in atto da anni ad opera di cacciatori e cittadini nelle aree urbane e periurbane di Trieste, come fatto a suo tempo da suoi colleghi liguri, toscani e dal primo cittadino di Genova. Ma la colpa dell’attuale situazione delirante non può certo essere attribuita in toto al sindaco. Le centinaia di cinghiali che ormai vivono nell’area periurbana ed urbana di Trieste, provengono da un allevamento di un noto imprenditore-cacciatore che all'inizio degli anni '90, dopo il rumoroso crack della sua azienda, ha abbandonato Trieste e il suo allevamento di suidi selvatici provenienti dagli Appennini posto nei pressi della cava Faccanoni a qualche centinaio di metri dal centro abitato. Presa al balzo la ghiotta occasione, le riserve di caccia hanno dunque pensato bene di trasformare l’intero comprensorio in un enorme allevamento allo stato brado di cinghiali, da cui tuttora attingono per riempire dispense e freezer. Ingenti quantitativi di mais pagati con denaro pubblico furono forniti dall'allora Comitato provinciale della caccia per incrementare la popolazione e impedire che gli animali si disperdessero. In circa quindici anni, partendo da un nucleo di poco più di una decina d’esemplari, i cinghiali si sono riprodotti formando una popolazione di parecchie centinaia di esemplari che effettivamente sta danneggiando pesantemente le campagne, gli orti e i giardini della periferia di Trieste e si sta espandendo fino ai confini dei comuni limitrofi di San Dorligo e Sgonico, facendo crescere giorno dopo giorno le preoccupazioni degli agricoltori, dei residenti e dei motociclisti. Ma le responsabilità non finiscono qui. I nostri cacciatori triestini hanno messo in atto una strategia finalizzata a diffondere al massimo la bengodi del cinghiale: le riserve di caccia, che si estendono su quasi il 90% della provincia di Trieste, da anni predispongono piani di abbattimento che raggiungono a malapena la metà del limite previsto dalla normativa regionale. E’ bene precisare che in provincia di Trieste esercitano l’attività venatoria circa 300 cacciatori e i cinghiali, secondo le riserve di caccia, sono diventati circa 400. Non occorreva essere dei veggenti per capire che con questo tipo di gestione, in cui l’interesse pubblico è stato il primo capo ad essere abbattuto, non si poteva che finire nella situazione attuale. Già alla fine degli anni ’90 gli ambientalisti avevano posto il problema della cattura dei cinghiali fuggiti dall’allevamento incontrando l’ostilità dei cacciatori e delle pubbliche amministrazioni. D’altra parte non poteva finire altrimenti, visto che da anni in Friuli-Venezia Giulia vige per legge il principio dell’“autogestione venatoria", con il quale la Regione, in virtù della sua specialità e della conseguente potestà legislativa esclusiva in materia di caccia, ha esautorato ambientalisti, agricoltori ed enti locali dalla gestione faunistica venatoria, lasciando ai soli cacciatori la predisposizione dei censimenti, dei piani di abbattimento e la gestione complessiva della fauna selvatica.
Su questo paradosso pende attualmente il giudizio della Corte Costituzionale, che auspichiamo si esprima a breve. Prima di parlare di provvedimenti per abbattimenti straordinari da attuarsi chiamando le guardie forestali e forse anche l’esercito, è dunque indispensabile riportare la provincia di Trieste, e l’intero territorio regionale, all’interno dei parametri di ragionevolezza dettati dalla normativa nazionale, che prevede che “l'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole”. Per risolvere un problema così complesso non ci sono scorciatoie. Bisogna rimuovere le cause che lo hanno prodotto: egoismi venatori, sudditanza politica a qualche lobby della doppietta, il tutto condito da una scarsa attitudine degli enti pubblici a rapportarsi con cognizione di causa nei confronti degli animali selvatici e delle dinamiche degli ecosistemi. Solamente un tempestivo tavolo pubblico che comprenda Regione, Provincia, Comuni, Organi gestori delle Riserve naturali, agricoltori, cacciatori e ambientalisti può trovare da subito soluzioni che, nel rispetto delle leggi vigenti in materia di tutela del patrimonio faunistico, perseguano realmente gli interessi della comunità locale, nazionale ed europea.
Trieste, 11 novembre 2008.
Per le Associazioni WWF, LIPU, Legambiente, LAV.
Stefano Sava

1 commento:

Anonimo ha detto...

el giornal de trieste lo publica solo oggi, per fortuna che ghe se voi per notizie interessanti..

saludemo
tory