Negli ultimi giorni mi sono chiesto
come avesse fatto il movimento delle sardine a raggiungere un così
grande successo. Negli ultimi anni abbiamo infatti avuto manifestazioni
di operai, cassintegrati, disoccupati che al
massimo riuscivano ad ottenere qualche trafiletto nei quotidiani
locali. Solo il grande sciopero degli insegnanti contro la Buona scuola
di Renzi era riuscito ad avere un buon successo di partecipazione
nonostante le molte censure mediatiche, come i vergognosi
pestaggi della polizia contro gli insegnanti in piazza 8 agosto a
Bologna, davanti agli stand della festa del Partito democratico.
Ora il successo delle sardine è
certamente dovuto al forte sostegno di giornali e tv. I pezzi grossi
neoliberali sono chiaramente con loro e lo si vede dal grande spazio
mediatico concesso. Uno dei suoi massimi rappresentanti,
M.Monti, ha persino avanzato l’ipotesi di sfilare insieme a loro.
Conta inoltre l’assenza di
contenuti. Le manifestazioni delle sardine sono un po’ come le canzoni
di Ligabue. Esprimono significanti vuoti vagamente riferibili a un certo
contesto sociale. Chi non ha mai vissuto “certe notti”?
Chi non è mai avuto il proprio “bar da Mario” in cui incontrare gli
amici?
Chi non ha giocato il ruolo di “mediano” in qualche circostanza
della vita? Allo stesso modo, chi non è “antifascista” a sinistra? Chi
se la sente di opporsi a questo movimento di “giovani”?
E in definitiva chi vuole giocare la parte del cattivone sovranista,
qualsiasi cosa voglia dire questa parola? La sardina è insomma un
significante vuoto che applicato al campo della sinistra può essere
all’occorrenza riempita di senso in modi diversi, disimpegnati
e soggettivi. Essere sardina dunque è facile, non è faticoso. Illude il
singolo di poter vedere riflesso nello spazio pubblico la propria idea
della politica.
C’è però dell’altro nel segreto del
successo delle sardine. E riguarda la faccia del loro leader dal viso
pulito, scanzonato, belloccio, “giovane”, serio, ma soprattutto
intellettualmente limitato. Qualche giorno fa rileggevo
per lavoro le stranote “Postille al Nome della Rosa” in cui Umberto Eco
si interroga sul successo del suo primo romanzo. Secondo Eco, Il nome
della rosa ha raggiunto un così largo numero di lettori grazie alla voce
narrante, cioè da Adso. Come spiega lo stesso
autore, Adso non è intelligente, non capisce tutto quello che gli
accade intorno, non gli sono chiare le discussioni teologiche né i
ragionamenti del suo maestro Guglielmo da Baskerville. Allo stesso modo
M.Santori non capisce la politica, per sua stessa
ammissione ne sa poco. Simpatizzava per Renzi, ma poi dopo averlo visto
in pubblico si è accorto che non era empatico e ha cambiato opinione su
di lui.
Proprio così, non il jobs act, non la buona scuola, non
l’aberrante riforma costituzionale, Santori ha cambiato
idea perché Renzi non è empatico.
Santori riscatta l’uomo di sinistra
medio, gli fa pesare meno la sua decadenza, il suo profondo
conformismo, la sua pigrizia e in fondo la paura di perdere alcune
certezze. E del resto il livello di comprensione della politica,
come per molti elettori del PD e dei suoi partiti limitrofi è puramente
emotivo e si manifesta per semplici schematismi vagamente identitari.
I
contenuti veri e propri non contano: il Mes? Santori non ne sa nulla,
“se ne occupino i competenti”.
Quello che
conta è stare dalla parte dei buoni, senza però tante costrizioni,
senza conflitti, senza obblighi troppo stringenti. E soprattutto senza
accanto un Guglielmo da Baskerville rompiballe che magari mette in
discussione le false certezze dell’elettore medio del
Pd.
fonte :
Paolo Desogus
Linkl: https://www.facebo ok.com/paolo.desogus1980/posts/2618479941533062
9.12.2019
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